
2 anni ago · Valentina Calanca · 0 comments
Burnout: il lato estremo della fatica mentale
Si deve lavorare in luoghi che elevano la dignità. Serve il giusto tempo del lavoro. Al di fuori del tempo di lavoro non si deve mai essere “connessi”: San Benedetto ricordava spesso ai suoi monaci che c’è un tempo per il lavoro e un tempo per l’anima. Il lavoro giusto non ruba mai l’anima alle persone, e va riconosciuto nel suo grande valore. Così facendo il lavoro riesce meglio; e dunque dimostrare la stima e il giusto apprezzamento per il lavoro svolto è importante, perché aumenta la responsabilità e la creatività.
Brunello Cucinelli
Seguitemi.
È un’ assolata giornata di Agosto.
Le chiavi dell’ufficio, sono state posate nel solito posto, dopo avere sigillato a triplice mandata la porta di un anno lavorativo complesso. Il personal computer è momentaneamente spento o quanto meno lasciato in un generoso stand-by.
Avete ben chiaro, che finalmente è arrivato il vostro tempo, un tempo per viversi, per mettersi al primo posto, divisi tra chi ne brama le svariate forme e chi quasi impaurito, appoggiando la divisa consunta, si ritrova in un’impacciata nudità, incapace di darsi forma diversa con soddisfazione.
Gli amici vi vedono stanchi, il loro vociare vi annebbia la mente ed il solo pensiero delle code in autostrada rende indesiderata ogni meta, togliendo forza attrattiva al viaggio.
Un accròcco di idee vi attraversa la mente ma nulla ha la potenza di spronarvi all’azione.
Burnout: stress mentale
La sindrome da burnout dipende dalla risposta individuale di stress cronico ad una situazione professionale percepita come logorante dal punto di vista psicofisico. Un tempo questa definizione era relegata solo alle professioni d’aiuto, oggi è estesa a tutte le situazioni professionali.
Logorante mi pare l’aggettivo giusto per questo 2020/21, dove lavoro e salute hanno fatto da protagonisti, chiedendo adattamento continuo, fiducia nella tenuta delle aziende e flessibilità alle diverse esigenze lavorative.
Cambi di normative dovuti all’emergenza epidemiologica da Covid-19, smart working a chiamata, green pass dell’ultimo minuto: tutto ha portato ad una flessibilizzazione tale da creare quasi un nuovo vocabolario esperienziale.
Fossimo in meccanica parleremmo di prove di sollecitazione, di resilienza, per valutare la capacità di resistere agli urti: ci si auspicherebbe la vita ci avesse creato il più possibile dotati di un Dna di Acciaio.
In una situazione straordinaria come questa, è facile immaginare che le persone abbiano faticato per non spezzarsi, attivando risorse maturate nel tempo di vita, ed è normale che siano provate e stanche.
Burnout: il caso di Giacomo
Ma ci sono gradi di stanchezza diversi, e vorrei raccontarveli tramite Giacomo e Bianca, due lavoratori, ma prima di tutto, due persone, un uomo e una donna. Venite con me.
Giacomo allenta il nodo della sua stretta cravatta appoggiandosi esanime alla luce fioca della poltrona di casa. Le scarpe spaiate abbandonate a distanza e il silenzio incorniciano la sua prima serata di ferie.
Sentiamo la sua schiena piegata dai dardi di tasse, richieste e da fiumi di e-mail.
La sensazione è così diffusa che quasi tutti ci si potrebbero rispecchiare, associando la stessa stanchezza a fatiche diverse, a ruoli di diversi, ma ugualmente consci di quella spossatezza che l’attività lavorativa porta con sé.
Il nostro Giacomo, invece fa qualcosa che stupisce: con fare cauto accende il televisore, illuminando la stanza a giorno, distende i lineamenti del viso, lascia cadere sul tappeto mamluk gli spruzzi dell’ultimo tuffo della Pellegrini, e le olimpiadi patinate di blu e rincuoranti diventano protagoniste.
La schiena si scioglie, la poltrona diventa un comodo resort di ristoro, e il medagliere olimpico, un’iniezione di energia, ritempra aree svuotate da tempo di questo manager in pausa. Quanti argenti, bronzi e ori sfiorati ci sono anche dentro di lui.
Il brillio delle medaglie, attiva la consapevolezza che dietro ad ogni sforzo c’è un “perché” a giustificarne la fatica e quel perché tante volte rende vano lo sforzo.
Patteggia tra sé e la vita un pareggio ex aequo, identificandosi con chi vince e chi perde.
Anche la fatica parla di lui: sa cos’ha attraversato, sa di avere avuto un equipaggio alleato e resta un senso di fiducia per la sua attività, un’attività alla quale ha dedicato gran parte di sé. Derubricando mentalmente a uno a uno i suoi colleghi più prossimi, sorride, sa bene che tutto è merito di un gioco di squadra testato e che insieme costituiscono un prisma indissolubile.
Quasi quasi si identifica con l’Andrew Hoy della situazione, che con il suo cavallo e i suoi 62 anni ancora raggiunge argenti e bronzi. Ride e scende da cavallo. Troppo scomodo stare sempre al galoppo, ma domani andrà da qualche parte, sente il peso della vita, ma è felice di chi è.
Con alta probabilità a settembre lo rivedremo in pista, con nuovi traguardi da raggiungere.
Se la stanchezza mentale e fisica è solo temporanea, prevedibile e limitata nel tempo, le reazioni all’impegno psicofisico regrediscono con brevi pause di recupero. Una volta ritrovato il senso di appartenenza all’obiettivo lavorativo e un sano contatto con la vita privata, le chiavi oleate torneranno ad aprire la serratura.
Burnout: sintomi e definizione
L’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) nella nuova versione dell’International Classification of Diseases (ICD-11), ha introdotto tra le sindromi il Burnout. “Burn out” è un termine di origine inglese che letteralmente significa “bruciato”, “esaurito”, indicando con ciò un malessere causato da stress cronico associato al contesto lavorativo e/o derivante da esso.
Eccone le principali manifestazioni:
• Senso di esaurimento o depauperamento delle energie
L’esaurimento emotivo è il sintomo centrale e consiste nel sentimento di essere svuotato su un piano fisico, emotivo e mentale e annullato dal proprio lavoro.
• Aumento della distanza mentale dal proprio lavoro
Atteggiamento di distacco mentale dalle proprie mansioni e aumento dell’isolamento dal proprio lavoro. Ne consegue una ridotta efficacia professionale. Sono presenti sentimenti di negativismo o cinismo relativo al proprio impiego e nei confronti delle persone che richiedono o ricevono la prestazione o il servizio (colleghi, clienti, superiori).
•Ridotta efficacia professionale
La ridotta realizzazione personale, la percezione della propria inadeguatezza al lavoro, la caduta dell’autostima e il sentimento di insuccesso nel proprio lavoro si traducono nel calo dell’efficienza personale: il lavoratore si percepisce sempre meno necessario, nonostante il suo impegno.
I primi campanelli d’allarme, intrecciano il piano fisico, si notano emicrania, sintomi respiratori, insonnia, inappetenza, disturbi intestinali, senso di debolezza.
Burnout: il caso di Bianca
Bianca è una donna bellissima, sulla quarantina, è contraddistinta da capelli color rame che ricordano la terra di Siena. Ha collezionato master all’estero, desiderosa di vedere le sue capacità tradursi in successo.
Mentre dall’altra parte del mondo Giacomo è già a casa, Bianca è schiacciata dalla porta dell’ufficio. Quest’ultima, come animata da un forza ancestrale, le oppone resistenza, il suo corpo stremato non la combatte. Ne è vinta. In sottofondo un senso di distacco le attanaglia il pensiero e le sole PEC sembrano riportarla alla vita reale.
Il corpo cede, lasciandosi scivolare a terra, si accascia esausta sul pavimento freddo con le mani piene di lacrime.
Piange, prova compassione per se stessa, per la sua vita così faticosa e in quel dolore tagliente intravede finalmente un barlume di consapevolezza.
Sapeva che il suo essere donna sarebbe stato penalizzante, ma non determinante, sapeva che stava portando i suoi battiti allo spasmo. Sapeva che correva ma non sempre ne conosceva la meta.
I colleghi l’hanno vista stanca, distratta e senza alcuna delicatezza non hanno mancato di farglielo notare. Le lacrime di oggi dicono anche questo.
Le priorità di carriera che fino a pochi anni prima risuonavano entusiasmo, oggi sono la certezza di un tempo che passa all’insegna dell’oblio.
Bianca vorrebbe aiuto, vorrebbe l’aiuto che non ha mai chiesto, vorrebbe non avere paura di perdere il ruolo che si è guadagnata, ma sa anche che l’azienda corre più veloce di lei e ogni anno pendono sulla sua testa riconferma o sconfitta.
Burnout: costi personali e costi aziendali
Bianca e Giacomo sono solo due dei tasselli di un sistema tanto più ampio. Raccotare di loro, racconta di noi.
Responsabilmente però mette l’accento sulla complessità dell’organigramma aziendale, dove spesso gli obiettivi finanziari portano a scotomizzare il microsistema umano che dietro le quinte lavora per sorreggerne i risultati.
Mi è capitato di confrontarmi con dirigenti illuminati, persone sensibili e accorte capaci di equilibrarsi tra le esigenze aziendali e la tutela del personale. In altri casi la fatica della macchina organizzativa, o una leadership autoritaria diventano invece motivo di inciampi motivazionali ed organizzativi, causando involontariamente uno scollamento tra produttività e benessere.
Burnout: trattamento e rimedi
La risoluzione del burnout prevede un approccio sia a livello organizzativo, che a livello individuale.
Sul luogo di lavoro, il burnout può essere affrontato chiedendo sostegno al proprio superiore, al reparto risorse umane o nelle realtà più accorte allo psicologo aziendale. La presenza di un esperto di relazioni aiuterebbe a sviluppare una migliore consapevolezza ed un adeguato esame di realtà sulle condizioni lavorative vissute.
Tramite equipè di lavoro, colloqui singoli di sostegno, confronti relazionali, team building si potrebbe favorire il ripristino di un buon funzionamento del sistema aziendale.
Ciò apporterebbe vantaggi per il lavoratore:
- riduzione del senso di angoscia percepito, acquisizione di consapevolezza e di strumenti per superare la situazione critica lavorativa e/o relazionale
- sostegno alla strutturazione dell’identità personale e professionale,
E vantaggi per l’azienda:
- acquisizione di strumenti di tutela della salute fisica e psicosociale dei lavoratori;
- riduzione dei costi legati all’assenteismo, all’ alto turnover, alla bassa produttività;
- riduzione dei tassi di incidenza degli infortuni: un lavoratore più sereno e più attento è meno esposto agli incidenti;
Sono convinta, che così, anche Bianca, tornerebbe a sorridere e dire,
come la nostra Divina Federica Pellegrini: “È stato un bel viaggio, me lo sono goduta”.
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